giovedì 29 maggio 2014

La mala education musical



Fin da piccolo in casa mia si è sempre ascoltata musica. Mio padre amava ascoltare le cassette ed i vinili sullo stereo grande di casa in salotto ed ho ascoltato Pooh, Mina, Fred Bongusto, Giorgio Gaber, Fabrizio De Andrè, Donatella Moretti, la Schola Cantorum della RCA, la Selezione da Caino e Abele, Jesus Christ Superstar… insomma davvero un po’ di tutto.
Ogni tanto guardavo tra le cassette di mio padre e leggevo dei nomi che non capivo, alcuni anche ostici da pronunciare per un ragazzino che frequentava le medie: “Ma come caspita si legge questo? Kraftwerk? Ma chi cacchio sono? E questi… Genesis? Ma chi diamine sono? E come si leggerà questo Cob… Cobham? BAH!”
Il mio primo amore musicale è stato Edoardo Bennato: prendevo il 137 o il 33 per andare da Castellino, un negozio di dischi e giochi per pc a via Secondigliano, e compravo le musicassette dei suoi album. Le ho tutte, compreso anche qualche vinile. Mi mettevo in camera, premevo play e scrivevo i testi delle canzoni per impararle meglio e memorizzarle. Inutile dire che sono state le prime canzoni che ho suonato sulla chitarra anche grazie alla passione comune con la mia amica Marina, la prima persona che mi ha insegnato come imbracciare una acustica e strimpellare i primi barrè.
Tutto cambiò un giorno di estate del 1994.
Ascoltavo in sottofondo MTV (quando ancora era ascoltabile) e le mie orecchie furono colpite da un giro di basso pazzesco che mi prese all’istante. Vedevo quasi allucinato questo video di questi pazzi su un divano semidistrutto che si dimenavano come dei folli e ne rimasi folgorato. Presi nota del nome del gruppo e del disco ed andai subito a comprarlo. E con subito intendo subito. Dopo un’ora avevo per le mani la musicassetta di “Dookie” dei Green Day, cassetta che ancora conservo gelosamente e che ancora oggi ascolto ogni tanto.
Poco dopo, alle superiori, l’incontro folgorante con Gaetano e Lello, i miei due inseparabili compagni delle superiori. Noi tre i Cavalieri dell’Ave Maria, noi tre sempre insieme, noi tre a suonare in casa di Lello, io la chitarra, Lello la batteria, Gaetano il basso, noi tre e le prime registrazioni (che conservo tuttora), noi tre i Sounds Never Seen, noi tre così diversi musicalmente, con Lello amante della musica classica, Gaetano del metal ed io del rock e dell’elettronica, noi tre così uniti fino a che la vita non ci ha messo lo zampino e ci ha spedito a centinaia di chilometri di distanza. Ma che tempi quelli, ragazzi.
Dopo di allora venne il gioco di ruolo, Dragons’ Lair e la conoscenza di Riccardo, che oltre ad insegnarmi a giocare di ruolo è stato per molti versi un fratello maggiore e che mi ha fatto conoscere i Depeche Mode. Prendevo la mia Panda, andavo all’Auchan, entravo nello store musicale di Trony ed ogni mese compravo almeno tre cd in offerta. Da allora ho tutta la loro discografia, ed anche lì ho imparato tutte le canzoni a memoria. Forse i DM sono stati un po’ pesanti per un ragazzino di 18-19 anni, ma non rimpiango niente di quei tempi.
Da allora ne è passata tantissima di musica in queste orecchie, di tutti i tipi e di tutti i modi, c’è stata l’esperienza a Sarabanda e c’è al momento la mia collaborazione con MelodicaMente ed in tutti questi anni la mia apertura mentale musicale mi ha permesso di vivere moltissime bellissime esperienze, di cui serbo fantastici ricordi, MA se devo focalizzare tre momenti precisi, direi che i momenti più belli sono stati il concerto degli Estra del 1998 con Gaetano dove ci fermammo a mangiare un panino con Giulio Casale, il concerto dei Massive Attack all’Arena Flegrea con il mio amico e compagno delle superiori Sergio Santoro (IMHO best live stage EVAH!) ed il primo concerto dei Depeche Mode lo scorso Novembre, dove mi sono trovato a piangere da solo sul parco del San Siro per un sogno di un bambino che diventava realtà.
And the beat goes on…

mercoledì 7 maggio 2014

Ritorno a casa

I passi dell'uomo si susseguivano ed il loro rumore sul fango ormai seccato dal sole, inframezzato da quello di un bastone, era quasi ipnotico, scandiva il tempo... Ma quale tempo? Di quale luogo? A questa domanda Silius non aveva una risposta. Troppo era successo in questi giorni a Lunaria.
Già, Lunaria... una "gemma", come gli avevano detto quelli che come lui erano capitati lì, una delle tante sparse nel... nel... Multiverso, ecco la parola. Troppe novità da digerire in cinque giorni, troppi scossoni al suo credo, troppe cose da capire in così poco tempo.
Nella sua mente si affollavano mille domande nate in quei giorni sui campi di battaglia e tra le tende.
Domande che non avevano, al momento, una sola risposta che non creasse un'altra domanda ancora più insidiosa e profonda.

E pensare che era bastata quella salita sul colle fuori Bordona a cambiare forse per sempre la sua vita: alla fine dell'erta aveva trovato quel tempio semidistrutto insieme ad uno stuolo di... "ombre". Era l'unica parola che descriveva bene quello che aveva visto, l'unica similitudine possibile, se si esclude il fatto che le ombre non uccidono.
L'unica via d'uscita era quel portale oscuro e violaceo, pulsante di vita e di voci, che prometteva una via di fuga. Ma forse, per una volta, la salvezza era più inquietante del pericolo stesso.

Da lì il viaggio, l'arrivo, l'atterraggio tutt'altro che morbido su un terreno sconosciuto, i fuochi lontani nella notte e quello stendardo piazzato sopra un muro di recinzione di un castello affianco ad un'insegna enorme raffigurante un toro.
Aelemil era lì.
Come e per quale motivo non lo sapeva ancora, ma chiedere alle guardie del cancello non gli sarebbe costato nulla.
E da lì era iniziato tutto.

Ora, nella strada verso la probabile via d'uscita da quel mondo, le sue domande non trovavano risposta, ma anzi porgevano il fianco ad altre domande ben più pesanti e preoccupanti: e se l'epidemia di Naphor non fosse altro che una malattia propagata dal Nexus? Avrebbe mai trovato una cura, ovemai ne fosse esistita una? Chi o cosa aveva visto nella Frattura? Da cosa derivavano i suoi poteri in quel mondo, oltre alla sua fede nella Misericordiosa Sinaja? Cosa significava il fatto di essere un'essenza, una proiezione di se stessi?

Il timore che lo avvolgeva non era il sentimento giusto per un clerico come lui, e quelle non erano domande da Taumaturgo. Erano domande da Teosofista, lo sapeva benissimo, come diceva sempre il suo Maestro Visu. Ma rimbombavano nella sua testa senza sosta, rimbalzando fino a fargli scoppiare la testa.

Si fermò un attimo, stanco della camminata e dell'incessante opera di distrazione del suo cervello, si guardò attorno e vide alle spalle le mura del campo di quelli che si facevano chiamare Soldraconis, i "vincitori" di quella disfida che aveva impegnato tutti per molto tempo, ed un brivido gli percorse la schiena. Aveva visto in quel mondo tutte le aberrazioni che nel suo mondo era normalmente portato a combattere, ma su quel piano esse erano tollerate se non in alcuni casi addirittura accettate apertamente. La cosa, oltre a lasciarlo perplesso, lo faceva tremare di sdegno e di rabbia. Ma la collera durò pochissimo e lasciò lo spazio ad una muta rassegnazione. Non era il padrone di casa e non poteva dettare le regole. Come ospite il suo compito era accettare e ringraziare.
Improvvisamente si trovò a ripensare alle parole del Guardiano Moebius... "Andate dai vostri cari e chiedete loro scusa perchè avete fallito... Questo è l'Anno del Drago. Noi siamo il Male Necessario". Queste parole non gli piacevano, nemmeno un po'. Non ne capiva il senso ma lo inquietavano ogni modo, come se dentro di essere fosse contenuto un messaggio nascosto di cui non aveva la chiave. Scrollò la testa ed alzò le spalle, come ad allontanare quel pensiero, proseguendo la sua marcia.

Finalmente, alla fine di una salita, lo vide. Lo stesso portale che sembrava averlo portato lì lo attendeva, questa volta muto e senza luce, quasi un buco nero che sembrava inghiottire l'oscurità circostante.
Non gli piaceva, non gli piaceva per niente.
Ma era forse l'unico modo per tornare indietro.
Doveva andare.
Doveva parlare con altre persone, capire cosa era successo, chi erano gli altri cittadini di Aelemil che aveva incontrato, cosa ne aveva scaturito la loro presenza.
Per un attimo ripensò ai compagni di quei giorni... ed il volto si increspò in un sorriso, l'unico di quella giornata così amara. Chissà se li avrebbe mai più rivisti. Ora non era più tempo di farsi domande. Era il tempo di tornare indietro verso casa.

Un'ultima domanda colpì Silius mentre saltava nel portale tenendo ben stretto in mano il suo filatterio: perchè lui?
Una eco lontana di una risata suonò come una risposta.